Arte dei Oliandoli e PizziCagnoli

Le origini della tradizione oliandola italiana…

oliandola

Anticamente e più precisamente nel medio evo l’oliandolo era colui che attendeva all’estrazione dell’olio dalle olive. Ma subito il termine si arricchì di nuovi significati sempre attinenti al settore oleario come per esempio quello del venditore al minuto, dell’esperto conoscitore della qualità dell’olio e così via.
In particolare a Firenze, nella prima metà del XII secolo l’arte dell’oliandolo comprendeva tutta la filiera dell’olio quindi:
i produttori di olio, i conduttori di frantoi, i venditori di olio all’ingrosso, al minuto e perfino gli ambulanti.
A Firenze, esiste ancora una piazza chiamata “
Piazza dell’olio” perché lì vi si teneva il mercato specializzato su questo prezioso alimento, che doveva essere prodotto seguendo scrupolosamente i dettami della corporazione.
Tali dettami prevedevano
la raccolta a mano delle olive dagli alberi (brucatura), che venivano messe  in apposite ceste di castagno e portate al più presto al frantoio dove venivano frante con delle grandi macine di pietra la cui provenienza, sembra assodato, fosse dalla cava di Montici. Questa pietra ha la caratteristica di essere particolarmente dura e quindi più adatta delle altre allo scopo. Ma Firenze era anche ricca di botteghe specializzate nella vendita di olio, molte delle quali raggruppate nel mercato vecchio o in via Lambertesca.
L’olio non veniva usato solo per scopi alimentari, ma
veniva usato anche nella lavorazione dei tessuti e nell’illuminazione delle case e delle strade. Ciò accresceva il fabbisogno del prezioso prodotto e perciò ben presto la Toscana si trovò con piantaggioni di ulivi insufficenti per un’adeguata produzione di olio.
Infatti la famosa “
Tavola delle possessioni” di Siena, riporta che all’epoca di Dante Alighieri risultava una tale insufficienza di uliveti rispetto alla domanda interna di “liquore di ulivi” (così il “Sommo Poeta” definiva quest’olio) che indusse le autorità ad imporre, per “la negligentia de’ nostri lavoratori che non piantano et pongono ulivi“, ad ogni possidente e per ogni appezzamento di terreno per la quale lavorazione necessiti di due buoi, la messa a dimora di due piante di olivo, quota che poco dopo fu addirittura raddoppiata (fatto questo che caratterizzerà le campagne Toscane).
Per i toscani l’olio di oliva era “
una de le quatro cose più necessarie alla vita dell’uomo“, ed é grazie al lavoro dei suoi oliandoli che la Toscana può vantare oggi un’elevata e molto differenziata qualità del prodotto, ricavato da oltre 100 cultivari di olivi differenti.
Nel 1536 l’arte degli Oliandoli che nel frattempo era diventata abbastanza influente e si era unita con pizzicagnoli, si unì anche con i beccai, corporazione piuttosto potente che comprendeva i macellai, i pescivendoli ed i gestori di osterie e taverne.
Nel 1770 con la
soppressione granducale delle corporazioni anche gli oliandoli dovettero confluire assieme a tutte le altre arti nella nuova “camera di commercio“.
Tuttavia
gli oliandoli con le loro tradizioni ed i saperi dell’arte continuarono ad diffondersi in tutt’Italia, contribuendo alla proverbiale qualità dell’olio di oliva italiano.
Per questo si può definire oliandolo chi con il suo operato conserva, tramanda, tutela e sviluppa l’alta qualità del
prodotto oleario italiano.
Un buon oliandolo per definirsi tale dovrebbe:
conoscere i processi di produzione, saper assaggiare l’olio in modo da riconoscerne i pregi ed i difetti, saperlo abbinare agli alimenti e consigliarne l’uso in cucina.