L’arte dei Chiavaioli
Con quella dei Corazzai e Spadai, anche l’Arte dei Chiavaioli faceva parte delle Arti Minori, nonostante il lavoro svolto da questi artigiani fosse di fondamentale importanza nella vita di tutti i giorni: difatti non si occupavano solo di chiavi e serrature, ma anche di ganci, chiodi, borchie, cardini per porte e finestre, chiavistelli, molle, ramaioli, pale da forno e treppiedi. Tra gli iscritti v’erano anche i Ramai o Calderai, gli Ottonai e gli Stagnai, che fabbricavano le suppellettili necessarie sia nelle case di città che in quelle di campagna, come per esempio brocche, mezzine di rame, teglie, tegami e pentole di ferro. Facenti parte dell’Arte erano anche i mercanti di oggetti di ferro usati, che venivano comprati e rivenduti: questi lavoravano in caratteristiche botteghe, ove su lunghe catene venivano disposti oggetti d’ogni genere.
Protettore dei Chiavaioli era San Zanobi, festeggiato in tutta la città il 25 maggio, giorno in cui, nella cappella a lui dedicata in Duomo, veniva esposta la reliquia.
Alessandro de’ Medici il 17 Luglio 1534 ordinò con un bando che l’Arte si unisse con quella dei Corazzai e Spadai, dei Fabbri e a quella dei Maestri di Pietra e Legname per far fronte al calo demografico di quel periodo, dovuto alla peste.
Tra il XIV e il XV secolo si sviluppò la tendenza a decorare serrature e maniglie, e dal Quattrocento anche i battenti delle porte. Erano dette chiavi fiorite o istoriate quelle di scrigni, forzieri e cofani: vere e proprie casseforti spesso rivestite di ferro e d’argento, con coperchi pesantissimi e che si chiudevano con complicate serrature a segreto, custodite in genere dal capofamiglia che appena arrivava la notte le trasferiva dallo scrittoio o dalla bottega nella sua camera da letto.
Fu nel periodo barocco che ebbe maggiori profitti la tradizione decorativa delle serrature; in seguito le chiavi furono fabbricate anche in ottone e argento, e le decorazioni si basarono su modelli trovati su libri, di pubblicazione francese e diffusi in tutta Europa. A volte le serrature, per essere meglio conservate e per essere protette dalla ruggine venivano verniciate, e dal Cinquecento si cominciò a lavorarle finemente e corredarle con piastre di copertura decorate con motivi vegetali, grottesche, delfini e disegni di artisti famosi.
Tra i Chiavaioli v’erano anche calderai, gli staderai e gli orologiai: i primi erano autorizzati ad esercitare il commercio del rame, ma principalmente si occupavano di lavorare a freddo lastre di rame, che venivano trasformate in oggetti da cucina e in ornamenti per sellai, tra cui serrami e bottoni. Gli operai lavoravano al tornio e spianavano o stagnavano lastre di rame, le raschiavano e infine le tagliavano della dimensione voluta, così lavorate venivano passate ad altri operai che le lavoravano col martello, rendendole più uniformi, assottigliandole e conferendo loro maggior solidità. Il processo di rifinitura, infine, interessava in particolar modo i rami usati in cucina.
Gli staderai fabbricavano stadere, bilance e strumenti di precisione per pesare oggetti comuni ma anche oro, argento e pietre preziose. Tra i più richiesti c’erano questi ultimi, conosciuti e richiesti per la loro precisione fin alla corte papale ad Avignone.
Gli orologiai non erano iscritti a un’Arte propria, ma dopo la sentenza del Tribunale di Mercatanzia del 1451, che stabiliva che gli orologi non potevano essere fatti altro che da artigiani iscritti all’Arte dei Chiavaioli, divennero di fatto iscritti a questa.